Nel corso del tempo alla direzione di Luce e Ombra si sono succeduti vari direttori che qui vogliamo ricordare brevemente

 

ANGELO MARZORATI (1900-1931)

Angelo MarzoratiInsieme ad Achille Brioschi è l’artefice della nascita di Luce e Ombra che ha diretto dal 1901 al 1931.

Non ci sono Biografie di Angelo Marzorati (1862), ma risulta estremamente interessante riportare uno stralcio del ricordo che pubblicò alla sua morte (1931) su Luce e Ombra il suo allievo e successore alla Direzione della Rivista Antonio Bruers.

“Per i lettori di questa Rivista, uno scritto destinato a ricordare Angelo Marzorati non richiede la premessa che, purtroppo, sarebbe necessaria in altri periodici: quella destinata a lumeggiare l’importanza della Ricerca Psichica per poter far comprendere, alla maggioranza ilva1ore del1’opera dello Scomparso. Dico purtroppo, perché se il Marzorati non aveva raggiunto la stessa notorietà di tanti altri scrittori e pubblicisti coetanei che non ebbero né i1 suo ingegno, né la sua cultura, ciò si deve attribuire esclusivamente al fatto che egli aveva abbandonato, quasi a1l’inizio della sua carriera di scrittore, il campo delle lettere, nel quale grandi potevano essere le sue affermazioni, per consacrarsi intieramente a un ramo di studi mal compreso dai dotti, sospettato dagli ecclesiastici, compromesso dai fanatici e dai dilettanti.

Questo sacrificio a favore della Ricerca Psichica sta alla base della vita e dell’opera del Marzorati, e chi lo trascura rinunzia a comprendere, di tale opera, il significato intrinseco e storico più profondo.

In realtà, molti non sanno che il Marzorati fu, nella giovinezza, poeta, e come poeta e critico letterario esordì ne La Commedia umana di Achille Bizzoni, e anche ignorano che questo stesso Luce e Ombra, consacrato alla Ricerca Psichica, il cui primo numero apparve nel Natale del 1900, era stato preceduto nel 1894, da un’omonima Rivista letteraria, di breve vita, ma tale da testimoniare la profonda originalità della cultura letteraria del Marzorati.

Profonda originalità, perché egli si rivelò audace uomo d’avanguardia, senza prevenzioni o restrizioni: seppe comprendere nel bene e nel male, nelle virtù e nelle deficienze, il decadentismo di Baudelaire o di Verlaine, il naturalismo di Zola, l’estetismo di d’Annunzio e di Wilde.

Se il destino non avesse disposto altrimenti, l’ Italia avrebbe forse avuto nel Marzorati un notevole letterato. Ma fra i trenta cinque e i quaranta anni un elemento intervenne a trasformare radicalmente la sua vita. Avendo avuto occasione di interessarsi ai fenomeni dello « spiritismo » egli ne comprese subito 1’enorme e complessa importanza. E qui per valutare il significato dell’ intervento di Angelo Marzorati in questo campo non bisogna dimenticare l’ambiente storico in cui sorse Luce e Ombra.

Nella sfera della cultura. universitaria prevalevano tuttora il materialismo e il criticismo, mentre la Chiesa si accingeva a ribadire la propria intransigenza stroncando il modernismo (e questo fu un bene) ma isolandosi sempre più dalla cultura laica. L’idealismo crociano e gentiliano, che avrebbe in seguito cosi notevolmente contribuito alla demolizione del materialismo, non era ancora apparso a1l’orizzonte.

I grandi postulati della tradizione (esistenza di Dio, immortalità, libero arbitrio) erano dunque affidati alla scuola ecclesiastica, respinta dalla cultura predominante, mentre 1e correnti laiche, compreso il nascente idealismo, li negavano o li menomavano.

Il Marzorati sorse con un pensiero che, se nella sua sostanza si riconnetteva ai sistemi cristiani e spiritualisti, era assolutamente originale nei rapporti col suo tempo, in quanto si fondava sui postulati della tradizione, ma, attingendo forme ed argomenti dalla filosofia moderna. E della filosofia del suo tempo raccoglieva il principio fondamentale: quello inteso a coordinare la speculazione con l’esperienza. Non solo, cioé, non respingeva (come avrebbe fatto pochi anni dopo la scuola idealista) il positivismo, ma lo poneva a base della sua filosofia spiritualista, dimostrando arbitraria l’identificazione del positivismo col materialismo.

Divinità, immortalità dell’anima,libero arbitrio, sono conciliabili col metodo sperimentale, se metodo sperimentale fu quello di Galilei e di Bacone, se mentalità positivista fu quella di Newton e di Leibniz, a nessuno dei quali la negazione del Dio trascendente, e della filosofia che da tale concezione deriva, apparve condizione necessaria per essere scienziati.

Ai giovani di oggi, cioé di un’epoca in cui criticismo e idealismo cominciano a rivelare le loro deficienze, un simile atteggiamento filosofico potrà apparire abbastanza facile ed evidente; ma se risaliamo agli anni in cui il Marzorati espose tali idee, bisogna riconoscere ch’egli fu precursore e divinatore di un orientamento che si sta svolgendo oggi sotto il nostro sguardo e al quale egli concorse in modo efficace, anche se meno palese alla maggioranza degli studiosi.

Il terreno sul quale il Marzorati poté far germogliare i suoi concetti di rapporto tra scienza e fede, tra esperienza mentale ed esperienza sensibile, fu precisamente la Ricerca Psichica.

Qui la storia del suo pensiero filosofico si innesta nella storia della sua. vita.

Nella prima pagina del primo fascicolo di questa Rivista, che porta, non senza motivo,la data del Natale del 1900, il Marzorati scriveva:

< Questo nostro giornale è stato preceduto da lunghi anni di ricerche, di esitanze, di dubbi ; vi furono dei momenti in cui l’anima sembrava naufragare nelle tenebre invadenti che s’addensavano fino ad oscurare la coscienza individuale, fino a farci dubitare di noi stessi e del mondo, quando un raggio di luce venne a diradare le caligini crescenti ed un giorno luminoso subentrò alla notte del nostro spirito. Nella ricerca della verità abbiamo lottato contro le larve dell’orgoglio e dell’egoismo, che sono i più terribili nemici de1l’uomo, schiudendo l’anima alla nuova luce che veniva facendosi in noi.

Non abbiamo avuto paura di cambiare ciò che credevamo le nostre convinzioni o di sembrare ridicoli per le conclusioni a cui ci avrebbe condotti il nostro lavoro. Abbiamo dovuto morire alle vecchie idee, per rinascere uomini nuovi.>.

***

Ho accennato all’attività del Marzorati come direttore della rivista e come sperimentatore; ma vi é un altro aspetto della sua attività, forse ii più importante, del quale difficilmente possono formarsi un concetto adeguato coloro che non lo conobbero personalmente.

Molti sono gli intellettua1i illustri che ho conosciuto nella mia vita, ma debbo dire che mai ebbi ad imbattermi in un uomo che possedesse un pensiero più vasto. più profondo, più originale di quello del Marzorati.

Le sue idee filosofiche e sociali, le sue valutazioni letterarie ed artistiche e, soprattutto, il suo pensiero religioso, mentre rivelavano una cultura di prima mano, attinta liberamente e direttamente dai testi e non dalle ripetizioni scolastiche (egli fu un autodidatta nel valore più assoluto del termine) erano il risultato di una personale meditazione Che usciva dagli schemi consueti.

La sua conversazione sconcertava i pedanti, i ripetitori dei pensieri fatti. Egli era, nel senso più alto della parola, un rivoluzionario dello spirito, e forse per questo sapeva, come pochi altri, lumeggiare e confermare sotto nuovi, insospettati aspetti, l’antica tradizione, specialmente in merito al cristianesimo e al suo Fondatore. Che fu la Luce, la sostanza, la sorgente tacita e perenne della sua vita spirituale e morale. ‘

Purtroppo, di questo suo straordinario valore ben poco ci resta.

Quanto egli pubblicò, sebbene fosse scrittore di classica. eleganza, non è se non un pallido riflesso della sua conversazione.

Ben altro egli avrebbe potuto consegnare alla stampa, ma un’invincibile ripugnanza allo scrivere, tanto pù singolare in chi aveva esordito come giornalista, una modestia quasi inverosimile, che giungeva sino al fastidio per il pubblico, fecero si che quanto di lui ci resta sia dovuto, più che a spontanea iniziativa, alla sua qualità di direttore che lo costringeva a determinate gli orientamenti della ricerca e a commentare i fatti e le parole degli altri.

Comunque, quel tanto ch‘egli scrisse sarà, con apposita scelta dalla quale non sarà escluso l’epistolario, raccolto in un volume, sufficiente a dimostrare che non si potrà, domani, tracciare un quadro della cultura italiana di questi ultimi trent’anni trascurando l’opera del Marzorati, come iniziatore di quello spiritualismo che, più o meno tardi, é destinato ad emergere come la filosofia più propizia alle esigenze del pensiero moderno.

Quando i giovani si avvedranno (e ciò avverrà fatalmente) che non é possibile superare l’attuale crisi culturale senza orientarsi verso una filosofia che concilii le ragioni, vere e complete. Della religione con quelle della scienza, la metafisica col positivismo sperimentale, la rivelazione con la ragione; quando s’avvedranno che l’unica via per risollevare i1 pensiero oggi decaduto, nei confronti col progresso delle scienze applicate, é quello di restaurare i1 principio della trascendenza e di ricondurci alle idea del divino, al senso dei rapporti di contatto e di dipendenza che intercedono tra Dio creatore e la creatura; quando si convinceranno che la base di una filosofia feconda per la vita sociale e il principio della sopravvivenza e a questo grande problema ricondurranno lo sforzo concorde della religione e della scienza; quando tutto questo avverrà, e dovrà avvenire se esiste ancora un destino luminoso per l’Italia e per l’Europa, allora la nuova generazione dovrà pur rivendicare all’opera del Marzorati il suo giusto posto, poichè tali furono le idee precorritrici da lui manifestate alla soglia del nuovo secolo, e con immutata coerenza difese e sviluppate per oltre trent’anni, mentre altre filosofie, che suscitarono l’immediato clamore, dopo un quarto di secolo già declinano verso il tramonto. ”

***

Questo profilo del pensiero e dell’opera del’Marzorati non sarebbe compiuto, s’io non ricordassi ch’egli fu un dotto e appassionato bibliofilo, e che come tale ebbe grande autorità in Italia e all’estero.

Prediligeva le edizioni rare dei letterati e dei filosofi italiani del Rinascimento e questo suo raffinatissimo ed eclettico gusto era il solo modo col quale egli aveva consentito di far sopravvivere in se‘ stesso le tendenze letterarie e artistiche della giovinezza.

L’amore del libro era l’espressione concreta della sua venerazione per i grandi filosofi, poeti e artisti, dei quali sapeva cogliere il pensiero pù profondo, la più viva originalità. Particolarmente notevole era la sua conoscenza dei nostri gloriosi pensatori del Rinascimento e del Risorgimento, dei quali rivendicava la grandezza ed auspicava lo studio, affermando con piena ragione, ch’essi non erano adeguatamente conosciuti nella loro opera diretta e nella loro genuina interpretazione.

Anteponeva il pensiero italiano a qualsiasi altro pensiero; era un assertore dell’esistenza di una tradizione italica, ma era aperto alle grandezze del pensiero d‘ogni tempo e d’ogni popolo ponendo a capo di tutto la Bibbia come sintesi insuperata della civiltà d’oriente e d’occidente, come espressione della più alta parola pronunziata nel mondo: quella del Nuovo Testamento.

La familiarità col passato che soltanto la vasta e diretta conoscenza dei libri può dare, e ch’egli possedette in misura veramente eccezionale, non deve essere separata dalla sua azione nel campo della Ricerca Psichica, perché ad essa dobbiamo attribuire quella larghezza di vedute, quello spirito di critica, quella costante connessione dei problemi psichici alla cultura generale che lo distinsero tra i cultori della Ricerca e conferirono al pensiero posto a base della sua rivista, la possibilità di ulteriori sviluppi, di fecondi raccordi con le altre discipline.

Agli amici intimi che trassero dal suo pensiero, e sopratutto dall’esempio della sua vita, la luce migliore della loro esistenza, egli lascia una eredità, non soltanto d’affetti, ma di doveri che saranno religiosamente adempiti.

La sua opera sarà continuata quale egli la concepì e la volle per essere confidata poi alla nuova generazione, con la ferma certezza che questa saprà superarci se non nell’amore, nella potenza d’ingegno nella forza dei propositi, nell’altezza morale, nella fede religiosa.

ANTONIO BRUERS

ANTONIO BRUERS (1931-1934)

Dal 1908 redattore capo di Luce e Ombra ne assunse la direzione alla morte di Angelo Marzorati nel gennaio 1932 fino al giugno 1934.

Per ulteriori notizie sulla sua vita si riporta la biografia scritta da Eugenio Garin per l’Enciclopedia Treccani.

BRUERS, Antonio
Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 14 (1972)
di Eugenio Garin

BRUERS, Antonio. – Nacque a Bologna il 13 febbraio 1887 da Emanuele e da Pia Bernardi. Il padre, un belga, figlio di un “cattolicissimo” medico di Bruxelles, era venuto a studiare medicina a Bologna nel collegio dei Fiamminghi; a Bologna si era laureato e sposato, “italianizzandosi al punto di non aver mai insegnato il francese ai figli”. La madre, di buona famiglia bolognese, aveva ascendenti di nobiltà ferrarese.

Bologna, e più tardi Roma, furono le città in cui più visse il B.: la fanciullezza, gli studi al Galvani dove non riuscì a prendere la licenza ginnasiale, le prime letture dannunziane, la passione per le lettere gli ispireranno alcune pagine fra le sue più degne (La voce di Bologna, Roma 1942, e, accresciuta, Milano 1943).

Con la morte del padre scomparve l’unica autorità che avrebbe potuto indurre il B. a “sopportare il tormento degli studi regolari”; difficoltà pratiche lo spinsero, sedicenne, nel 1903, a lasciare l’Italia e a cercare appoggio e lavoro a Bruxelles, presso i parenti.

L’esperienza belga, fra il 1903 e il 1905, fu importante: impiegato presso un grossista di seterie, imparò il francese, ascoltò Wagner, lesse caoticamente soprattutto di filosofia: tutto Nietzsche; attraverso Wagner, Schopenhauer; i materialisti Büchner e Haeckel, di cui dirà di avere scoperto solo più tardi “il carattere velenoso”.

Tornato in Italia, pubblicò presto a Milano, nel 1909, una Filosofia della vita; ma è dal 1908 che faceva cominciare la sua carriera con un articolo La memoria (e poi, subito: Libero arbitrio,Filosofia e spiritismo) su Luce e ombra (VIII, pp. 407-411, 503-510, 601-606), la milanese Rivista mensile illustrata di scienze spiritualiste, fondata nel 1901 da Angelo Marzorati quale “organo della Società di studi psichici”, per accompagnare e incrementare “con amore il rinnovamento spiritualista che caratterizza il grandioso momento storico che attraversiamo”.

Era un risvolto caratteristico del declinante positivismo, quando la “scienza” cercò un surrogato “sperimentale” della fede nello “spiritismo”. Campi di ricerca della società, e della rivista, la trasmissione del pensiero, l’ipnotismo, la suggestione, la medianità, le “forze mal definite”, sotto la presidenza onoraria di Antonio Fogazzaro, e con l’assistenza di uomini come W. Crookes, C. Flammarion, Th. Flournoy, C. Lombroso, O. Lodge, E. Morselli, C. Richet.

Per il B. l’incontro col Marzorati e con la “ricerca psichica” fu in certo modo decisivo: redattore capo della rivista dal 1908 al novembre del 1931, direttore dal dicembre del ’31 al giugno del ’34, seguì partecipe per ventisei anni un tipo di produzione a dir poco singolare, riconoscendo nel Marzorati il “maestro” di cui traccerà alla morte un commosso ricordo. Lo “spiritismo” venne a costituire lo sfondo del suo pensiero di autodidatta, giustificando un nebuloso “spiritualismo” che ammetteva, col Marzorati, il Dio uno e trino, Gesù Cristo, e i fenomeni medianici come tramite col mondo degli “spiriti”.

Il B. credette di trovare così gli argomenti per superare idealismo e materialismo, razionalismo e immanentismo, e le antinomie di scienza e fede. Da quell’angolo visuale non solo studiò la magia di Campanella ma perfino la poesia di D’Annunzio; all’insegna di Luce e ombra pubblicò e ripubblicò i suoi Poemi (poi Poemetti) spirituali (Roma 1912, 1919, 1928: ma vedi anche Myricae filosofiche, Roma 1953). Riunì la fitta collaborazione alla rivista nel volume La ricerca psichica (Bologna 1941), che è dei suoi più caratteristici, anche se appare ormai come il prodotto fuori tempo di un clima diffuso, e non solo in Italia, prima del 1914, che in parte la guerra spazzò via, ma che aveva sedotto anche logici rigorosi come Vailati.

Nel B., e non a caso, lo “spiritismo” costituì l’accesso equivoco di un autodidatta ai grandi pensatori, interrogati sistematicamente, più che sulle loro dottrine specifiche, sul destino dell’anima e sul mistero che fascia il sapere dell’uomo. Nell’articolo Il darwinismo, uscito nel 1909 in una rivista milanese a cui collaborò più volte, Il Mannello (poi in Scritti filosofici, Bologna 1941, pp. 45-65), già separava nettamente quello che nelle scienze è “ricerca spassionata della verità” dalle concezioni generali (“concetto materialista o idealista”), difendendo attraverso la consapevolezza dei limiti della scienza uno spazio, non solo per il mistero, ma per “un Principio eterno, infinito, imperscrutabile, perfetto, che governa l’universo e soprattutto l’uomo”.

A tale prospettiva il B. rimase fedele anche quando il suo cattolicismo si fece più acceso. Significative in proposito le vicende del saggio T. Campanella spiritualista uscito nel 1922 su Luce e ombra (XXII, pp. 290-301) ripreso nel volume Pensatori antichi e moderni (Roma 1936, pp. 95-110), rifuso nel volume Lametapsichica (Roma 1951, pp. 35-58), che è poi il testo di una conferenza del ’51 presso l’istituto di fisiologia dell’università di Roma, ove il cattolico Campanella è presentato quale precursore dello spiritualismo e della metapsichica, ma, anche, di una scienza sperimentale non dogmatica.

Dall’aprile del 1910 a Milano, poi dal 1911 al 1912 a Roma, il B. pubblicò L’Idea moderna, “singolare rivistina intieramente e anonimamente redatta” da lui, nella quale più tardi amò ritrovare i “precorrimenti”, non solo delle proprie posizioni politiche e religiose, ma anche, secondo l’andazzo dei tempi, delle dottrine del fascismo soprattutto dopo la svolta della conciliazione. In realtà, in pagine a volte comuni agli articoli di Luce e ombra, si incontra una lettura giobertiana tesa a sottolineare ogni accento “antiimmanentistico” e nazionalistico, “identificando nella dottrina trascendentalista la tradizione filosofica del pensiero italiano”. Tale il nocciolo di una conferenza tenuta il 27 maggio 1910 al Circolo di filosofia di Roma, presieduto dal Barzellotti, in cui il B. si opponeva all’interpretazione idealistica riaffermata dal Gentile.

Non si trattava però di un rigoroso approfondimento: giornalista e divulgatore – al Divulgare la filosofia dedicò un saggio nel 1931 (Pensatori antichi e moderni, pp. 24-29) -, stemperava nella sovrabbondanza delle pagine e in toni edificanti ogni sforzo di caratterizzazione degli argomenti: i suoi temi sono ormai tutti dichiarati, ma più che riunirsi, come egli credeva, in una sintesi, si confondevano in una nebulosa mescolanza: lo “spiritismo” con lo “spiritualismo”, la trascendenza e il cattolicismo; Campanella con Gioberti e D’Annunzio; la filosofia con la poesia e la musica; ben presto, a armonizzare tutto, Mussolini e il fascismo; alla fine, dopo la catastrofe, l’accentuarsi di una esasperata tematica cattolica.

L’alone irrazionalistico dovunque circolante in Europa sembrava offrire facili appoggi alle divagazioni del B., che nel 1934 richiamava con orgoglio una professione di fede del 1910: “di razionalismo l’epoca presente non vuol saperne, e fa bene”. Il razionalismo, proprio perché definito, è statico e chiuso; “ciò che nasce, parte dall’indeterminato, non dal determinato… Il mondo attuale è tutto una rinascita” (Gabriele D’Annunzio: il pensiero e l’azione, Bologna 1934, p. 84).

Esponente tipico di un certo giornalismo “letterario” fiorito fra il 1910 e il 1940, il grosso dell’opera sua – ma non il meglio – furono articoli di giornale, poi variamente combinati, utilizzati, raccolti; indicative le sue stesse collaborazioni, dal Resto del Carlino alla Tribuna e al Giornale d’Italia, dal Popolod’Italia a Lavoro fascista e a Gerarchia, fino all’Osservatore romano dopo la seconda guerra mondiale. Non a caso il Popolo d’Italia del 6 luglio 1915 pubblicava un suo articolo Il pensiero giobertiano e l’attuale conflitto europeo, in cui si dimostrava come l’intervento italiano fosse conforme alle tradizioni giobertiane.

Allorché, alla vigilia della seconda guerra mondiale, il B. riunì in volume i suoi Scritti politici (Bologna 1939), e particolarmente gli articoli di Gerarchia, di cui era stato assiduo e fecondo collaboratore fin dall’inizio, nel 1922, con vanità un po’ ingenua amò atteggiarsi a precursore (“avrei potuto muovere dall’aprile 1908”), ricercando nelle proprie produzioni di ventenne la “divinazione” della “logica fatalità della dottrina e dell’azione fascista”. Spiritismo e corporativismo, giobertismo e dannunzianesimo, tradizione e futurismo, scienza e arte: ecco i compositi ingredienti di quella filosofia sintetica spiritualistica, che bandita dai fogli fascisti aveva strappato a Gramsci il feroce commento: “un famoso parabolano arruffone, … uno dei tanti tappi di sughero che salgono sulle creste melmose dei bassifondi agitati” (Letteratura e vita nazionale, p. 190).

Va però aggiunto che la vocazione irenica dell’uomo, e il suo costante mantenersi sulla superficie dei grandi conflitti della storia, se tolgono mordente ai suoi interventi, li liberano anche da ogni aspetto sinistro. Svincolate dai truculenti contesti di certi periodici ufficiali, le pagine del B. si riducono al mite commento retorico di una vicenda spogliata di ogni drammaticità.

I saggi che preludevano e chiosavano la conciliazione, raccolti in particolare nei volumi La questione romana (Roma 1924), La missione d’Italia nel mondo (Foligno 1928), L’Italia e il cattolicismo (Firenze 1929), avevano interpretato sui fogli ufficiali del regime un atto decisivo della politica fascista come l’adempimento di una missione risorgimentale, e l’inizio per l’Italia, dopo un’età di crisi, di un nuovo “medioevo” quale epoca organica di sintesi e restaurazione armonica (“pura e severa patriarealità”).

Il B. chiamava a testimoniare pensatori e poeti, da Vico a Romagnosi, ma soprattutto Gioberti e D’Annunzio, presentati come antesignani del suo “trascendentalismo italico e cristiano”. E poiché era tempo di frasi lapidarie amò punteggiarne le sue pagine: “il rombo delle macchine soffoca la voce dello spirito”; “l’avvenire d’Italia sarà proporzionato alla nostra capacità di rievocazione del passato”; “chi vuoi rendere possibile un Augusto deve avere oggi l’anima di un Cincinnato”. Né mancò l’attacco, d’obbligo per i cattolici fascisti dopo il ’29, contro Nommanentismo hegeliano e idealistico, onde ebbe a polemizzare con Camillo Pellizzi (vedi Il lavoro fascista del 23 e 29 agosto e dell’11 sett. 1929).

Vicecancelliere della Reale Accademia d’Italia dal 1929 al 1943, ordinatore della biblioteca e degli archivi del Vittoriale degli Italiani (vedi Nuova antologia del 16 ott. 1934), di cui compilerà anche una guida (Il Vittoriale degli Italiani. Breve guida, Roma 1941; 3 ediz., 1952), il B. si divide fra Mussolini e D’Annunzio. A D’Annunzio, dopo una delle “medaglie” del Formiggini (Roma 1924), dedicherà tre volumi di saggi (oltre quello già citato, vedi i Nuovi saggi dannunziani, prima e seconda serie, Bologna 1938-1941), alcuni dei quali lietamente accolti dallo stesso poeta (“ho scorso con stupito piacere le vostre pagine… ho trovato in esse la profondità del veggente”), di cui si sottolineavano insospettate convergenze con lo “spiritualismo”, la mistica e le teorie del Myers sul “subliminale”, non senza facili punte polemiche contro Croce (“scolastico della critica estetica”, privo del “magico potere di evocazione”).

Ai citati volumi dannunziani, filosofici, metapsichici e politici, altri tre ne vanno aggiunti, letterari e storici (Problemi della letteratura italiana, Bologna 1938; Scritti storici, Bologna 1942; Saggi sulla letteratura italiana e straniera, Bologna 1943). In tal modo, fra il 1934 e il 1943, il B. raccoglieva (in genere presso lo Zanichelli) in una decina di volumi quasi tutta la sua produzione, che al Calcaterra sembrava “estrosa” (Convivium, IX [1937], pp. 471-472), ma che in realtà veniva rivelando l’intima fragilità e il carattere giornalistico, pur disegnando un itinerario esemplare, comune a non pochi uomini di cultura fra cattolicismo e fascismo nel periodo fra le due guerre mondiali.

D’altra parte questo non deve far dimenticare l’utile lavoro che il B. venne facendo come editore di Campanella (Del senso delle cose e della magia, Bari 1925), come bibliografo di Gioberti (Gioberti, Roma 1925), come compilatore di un fortunato catalogo storico-critico delle opere di Beethoven (Roma 1940; 4 ediz. aumentata, 1951). A questo tipo di contributi è affidato il miglior ricordo dello studioso, dal 1940 anche libero docente di storia della letteratura italiana all’università di Roma.

Fra il 1942 e il 1943, nella catastrofe incombente, si accentuarono nel B. i toni religiosi e le professioni di fede cattolica. Esce a Roma nel 1942 (2 ediz., 1944) il Gesù nel secolo ventesimo, che si definisce un “alato richiamo allo spirito di Gesù” (di poco posteriore Paolo ambasciatore di Cristo, Roma s.d., ma 1944). È del 28 maggio 1943 il discorso all’Angelicum di Roma sulle prese di posizione “cristiane” di Croce e di Gentile, soprattutto di Gentile (Il cattolicesimo e G. Gentile, Roma 1943). Nel volumetto Palingenesi, che nel ’43 stampava a Milano dal Cordani, e in cui ripercorreva il proprio cammino dal 1910 e dava un elenco dei suoi scritti, il B. insisteva sulla necessità di una radicale palingenesi (“chi dissotterrerà… cose morte, non farà altro se non contagiarsi di morte”).

Dopo la guerra nell’attività del B. prevalsero i contributi musicali: su Wagner (Guida alle opere di Wagner, Roma 1949), su Vivaldi (Siena 1949), su Verdi (Roma 1951), mentre proseguiva la produzione di tono fortemente religioso (sulle forzature dello Shakespeare cattolico, Roma 1952, sono da vedere le riserve della Civiltà cattolica, CV [1954], n. 2, pp. 293-294). Soppressa l’Accademia d’Italia, aveva ripreso l’attività nella cancelleria dell’Accademia dei Lincei.

Morì a Roma il 29 nov. 1954.

Bibl.: L’esemplare delle bozze di Palingenesi (Milano 1943) della Bibl. del British Museum, segnato 010099.b.28, con l’elenco degli scritti e correzioni e note di V. Cian; V. Cian, Un precursore operante: A. B., in Ausonia, 25 luglio 1948, pp. 35-38; Bibliografia filosofica italiana, I, Roma 1950, pp. 173-174; A. Gramsci, Letteratura e vita nazionale, Torino 1952, pp. 160, 190; L. Firpo, Cinquant’anni di studi sul Campanella, in Rinascimento, VI (1955), pp. 240, 250 s., 253, 257 s., 260 s., 264, 267, 277, 280, 287, 298, 311, 316, 327, 329, 333, 341; M. Raffa, In memoria di A. B., in Responsabilità del sapere, IX (1955), pp. 329-363; Bibliografia filosofica italiana, IV, Roma 1956, pp. 137-138; U. Renda-P. Operti, Diz. stor. della letteratura italiana, Torino 1959, pp. 202-203.

ACHILLE BRIOSCHI (1934-1942)

Ha contribuito finanziariamente alla nascita e alla vita di Luce e Ombra, di cui ha preso la direzione dal luglio 1934 fino al settembre 1939, mese in cui la rivista ha cessato la sua pubblicazione.

Dell’attività di Achille Brioschi come ricercatore e direttore di Luce e Ombra non si trova traccia nella biografia presente sull’Enciclopedia Treccani, che si riporta comunque come notizia biografica di carattere generale.

Qui di seguito si riporta la biografia scritta da G.P. Marchese per l’enciclopedia Treccani.

BRIOSCHI, Achille Antonio
Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 14 (1972)
di G. P. Marchese

BRIOSCHI, Achille Antonio. – Nacque a Milano il 25 luglio 1860 da Carlo, che gestiva il servizio di trasporti passeggeri e merci, effettuato con diligenze, sulla linea Milano-Vienna, e Virginia Danione. Cresciuto in una tipica famiglia lombarda, molto attiva in opere a carattere imprenditoriale, lasciò la scuola, all’età di 14 anni e passò subito, come tirocinante, alle dipendenze di diverse ditte del ramo chimico-farmaceutico e di coloniali. L’ultima di tali ditte fu la Bertarelli, lasciata dal B. all’età di vent’anni.

Subito dopo, nel 1880, con un capitale iniziale minimo il B. iniziò la sua prima attività in proprio, con la produzione a carattere artigianale del cosiddetto effervescente Brioschi, derivato dall’analogo prodotto medicinale, il citrato di magnesio effervescente, allora in voga, proveniente dall’Inghilterra e già fabbricato anche in Italia da piccole aziende.

Esso consisteva in una polvere granulare che, per la sua composizione, si scioglieva in acqua, originando una gradevole bibita dissetante e rinfrescante, ma non medicinale. Non mancarono ostacoli alla sua diffusione da parte delle autorità sanitarie, le quali, confondendo il nuovo prodotto con l’originale inglese medicinale, ne impedirono a più riprese la libera vendita.

Superata questa ed altre difficoltà, il B. riuscì poco alla volta a sviluppare l’attività dell’azienda sia dal punto di vista tecnico, sia da quello commerciale. Iniziò anche l’esportazione del prodotto in Brasile, dove aprì una fabbrica sussidiaria. Questa attività non fu però felice per varie ragioni, tra le quali le ripetute epidemie di febbre gialla e l’instabilità politica ed economica di quel paese. L’azienda italiana fu successivamente trasformata in Società collettiva “Achille Brioschi & C.” e la produzione dell’effervescente fu migliorata con l’introduzione della lavorazione meccanica in sostituzione di quella manuale. Il prodotto aveva ormai un posto sicuro, non solo sul mercato italiano, ma anche su quelli statunitense e svizzero, essendo state create fabbriche sussidiarie a New York (1894) e a Balerna, nel Canton Ticino (1897).

Intorno al 1900, dopo vent’anni di lavoro intenso, intelligente e fortunato, l’azienda aveva ormai basi solide; il B. però andava cercando nuovi prodotti da lanciare al fine di “tenere il mercato”. In Germania aveva successo un prodotto disinfettante, lanciato dalla “Lysoform Gesellschaft”, creata per lo sfruttamento di un brevetto relativo a un prodotto, il lisoformio, ideato dal dr. Groppler e consistente nell’associazione di aldeide formica con uno speciale sapone.

Le particelle colloidali del sapone avevano la proprietà di trattenere Taldeide formica, sostanza volatile e di elevato potere microbicida. Questa non poteva essere usata pura o in soluzione, oltre che per la sua volatilità, per il fortissimo potere irritante che esercitava sulle mucose. Il brevetto era già stato offerto alle più importanti case del ramo, ma da tutte rifiutato.

Il B. se ne entusiasmò, lo acquistò e ne fece, con una seria, insistente e sagace propaganda, il più importante e più famoso prodotto della sua ditta. In questa occasione mostrò un’altra qualità: fu uno dei primi imprenditori che adottarono la moderna tecnica produttivistica basata sulla stretta e costante collaborazione fra industriale, scienziato e tecnico. Egli riuscì infatti a procurarsi il meritato avallo della scienza sia per l’efficacia sia per l’innocuità del prodotto, determinando la pubblicazione di circa sessanta lavori.

Il successo del nuovo disinfettante fu strepitoso: grandi prove positive, di enorme presa propagandistica sul grosso pubblico, oltre che di influenza sulle autorità furono le disinfezioni e le deodorizzazioni nei recinti della Fiera di Milano, nell’interno del duomo e del Teatro alla Scala, delle aree terremotate di Messina e Reggio, dell’area dell’Esposizione di Torino, di città e territori italiani e libici durante varie epidemie (colerica del 1911 e influenzale del 1918). Altre applicazioni del prodotto furono il controllo dell’afta epizootica e del calcino del baco da seta. Numerosissime le riconoscenze e le medaglie conseguite, fra le quali nel 1927 la medaglia d’oro di I grado dell’Istituto lombardo di scienze e lettere.

Nel 1909 l’azienda fu trasferita da Milano in un nuovo grande fabbricato nei pressi di Rogoredo. Continuava la produzione dei derivati del lisoformio: dentifrici, lozioni, profumi e infine un sapone verde disinfettante. Del 1911 è il lancio di un cachet antinevralgico (kabnine) del dr. Métadier di Tours; reso economico e pratico, il prodotto trovò larga affermazione. Altri prodotti della ditta furono le polveri per acqua da tavola, un’acqua di Colonia (Johann Maria Farina) e un antimalarico (luparina), associazione di chinino e alcaloidi del Lupinus albus. Fra le altre attività del B. si possono ricordare l’installazione di una vetreria a Grandate per la confezione dei suoi prodotti e di una fabbrica di marmellate (Ligure-Lombarda) a Voghera.

Il B. ricoprì numerose cariche presso enti pubblici e privati, fu sindaco di Grandate e consigliere comunale di Milano. Da ricordare anche come munifico benefattore.

Morì a Genova-Nervi il 16 febbr. 1942.

Bibl.: Necrologio, in La chimica e l’industria, XXIV (1942), p. 110; La ditta A. B. nel suo cinauantenario. 1880-1930, Milano 1930; Onoranze ad A. B. nel 50º anniversario della fondazione della ditta omonima, Milano 1930.

GASTONE DE BONI (1946-1986)

Ha il merito di aver ripreso la pubblicazione di Luce e Ombra che ha diretto dal gennaio 1947 al settembre 1986.

Per ulteriori notizie sulla sua vita leggere la biografia presente in questo sito.

SILVIO RAVALDINI  (1925-2015)

 

silvio-ravaldini

La vita di Silvio Ravaldini è stata fin dall’adolescenza segnata da una singolare esperienza vissuta nella casa dei suoi genitori: la partecipazione, iniziata nel 1937 e durata molti anni, a sedute medianiche di alto livello che avvenivano grazie alla trance di un giovane amico di famiglia, Urbino Fontanelli. Durante queste sedute si presentò tutta la gamma di fenomeni caratteristici della grande medianità: voci dirette, materializzazioni, messaggi diretti alle persone presenti ed altro ancora. Silvio fu ben presto incaricato di redigere i verbali, cosa che fece con grande cura e che in seguito gli servirono per scrivere il suo primo libro Realtà e Mistero.

Per motivi di lavoro Ravaldini si trasferì poi dalla Toscana a Bologna, dove è vissuto fino alla morte. Negli anni Settanta conobbe il dr. Gastone de Boni di Verona, che custodiva in casa sua la biblioteca del suo maestro Ernesto Bozzano e dirigeva la rivista “Luce e Ombra”. Ben presto De Boni seppe apprezzare la cultura di Silvio Ravaldini nel campo della ricerca psichica e le sue doti di archivista e di scrittore; lo invitò quindi a collaborare alla rivista e alla pubblicazione di alcuni libri. Scelta felice, anche perché De Boni fu per alcuni anni bloccato nella sua attività da un incidente e Ravaldini si dimostrò veramente prezioso. Alla morte di De Boni nel 1986 Ravaldini ne divenne l’erede: direttore di “Luce e Ombra” e curatore della biblioteca, che fu allora trasferita a Bologna nella sede in affitto di Via Orfeo. Negli anni Novanta, grazie alla generosità della signora Silvana Annovazzi Pagnotta, fu acquistata la sede attuale di via Marconi 8/E, dove la biblioteca trovò una nuova e più adeguata collocazione. Straordinario il lavoro di Silvio Ravaldini per la cura e la catalogazione dei volumi, per la diffusione della rivista, per le attività culturali che da molti anni si svolgono in Biblioteca, divenuta nel frattempo una Fondazione.

Silvio Ravaldini ci ha lasciato il 24 novembre 2015.

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dal 2016  Paola Giovetti è Direttore Responsabile della Rivista Luce e Ombra.

Paola Giovetti, giornalista scrittrice, è Presidente della Fondazione Biblioteca Bozzano De Boni Onlus.